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VITTORIA | Californie dreaming

Regia: Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman
Produzione: Italia
Anno: 2024

Strabiliante. Ogni frammento scenico potenzia il significato della sostanza filmica innescando il reale che ci appare con la precisione di quei quadri iperrealistici che raccontano il vero più del vero senza per questo apparire eccessivi, ma semplicemente trovando nell’esaltazione del momento un continuum di grandissima potenza emotiva dove il controllo millimetrico della mano dei due registi fa apprezzare maggiormente quei fotogrammi in cui, a meno di non essere senza cuore o averlo di pietra ci si commuove a viso aperto non fermando quelle lacrime che spontaneamente scendono liquide e sincere.

Jasmine ha un negozio di parrucchiera. E sposata con Pino. Hanno tre figli maschi. Ma Jasmine ha anche un sogno. Ha letteralmente un sogno che le risveglia un desiderio. Avere una figlia femmina. Da qui parte Vittoria. Una storia semplice. Apparentemente banale. Come tante. Ma da una materia semplice si possono trarre storie straordinarie. E Vittoria lo è. Perché quello che narra è per la maggior parte reale. Perché gli attori sono reali. Sono chi dicono di essere. E il fatto di essere una trasposizione della realtà, tradisce la venatura documentaristica propria degli autori, ma la arricchisce di una forza cinematografica che, trovato lo spunto, lo esalta e lo sorregge con un lavoro di sceneggiatura e di quadro visivo che ne fanno un film a tutti gli effetti.

È una storia interiore, personale che trova il suo habitat in un consesso familiare dinamico, multiforme, aperto al cambiamento, nonostante i dubbi, le perplessità, i sogni che non sempre collimano o non allo stesso momento, la fragilità, le preoccupazioni. Scene da un matrimonio di una storia in evoluzione costante, che si ferma, rallenta e poi riparte tra ostinazione, fiducia, disincanto, delusione, litigi e speranza. Una coralità intima ma non per questo meno sociale. Meno barricadera ma sostanzialmente determinata, trova riverbero in un autore come Guédiguian, è portatrice di istanze di solidarietà, accoglienza, affetti, protezione e di un senso di comunità del fare, del costruire, del condividere e soprattutto dell’essere nel senso più pieno, meno effimero ed egoistico del termine.

Un grande lavoro sui protagonisti che sono scrutati con lo sguardo da entomologo, per analizzarne le pieghe, i tratti, il trucco di Jasmine che definisce un volto che esprime durezza e dolcezza con la stessa credibile espressione che dà mobilità a un viso attraversato da sentimenti, pensieri e moti del cuore.

Intenso, delicato, a tratti implacabile, non indulge al patetismo vera mina vagante su cui sarebbe facile saltare data la materia, arrecando danni. Mantiene garbo e asciuttezza riuscendo a imporre con naturalezza disarmante quell’abbraccio empatico che la sala al termine riserva alla pellicola e ai due registi in sala, accuditi dallo sguardo affettuosamente burbero di Nanni Moretti – coproduttore – in collegamento zoom. E se cerchio deve chiudersi lo è sulla meravigliosa scena in cui il padre – a tratti silente, ombroso, dubbioso se non accessorio “marito della parrucchiera”-  trova la sua voce interiore e prende in braccio la bambina, sottraendola ad un “esame” inutile quanto utile è invece quell’amore che travalica ogni confine cognitivo e non, perché non è tempo e luogo per le scemezze.

A sottolineare i momenti con altrettanta delicatezza e intensità, la splendida colonna sonora del musicista e produttore Giorgio Giampà.

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