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[SPECIALE] GREEN BORDER | Il confine è dentro di noi

Titolo originale: Zielona granica
Regia: Agnieszka Holland
Anno: 2023
Produzione: Polonia, Francia, Repubblica Ceca, Belgio

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Parlare di un film come Green Border, della regista polacca Agnieszka Holland, non è facile. E ciò non tanto perché il suo contenuto sia oscuro – affatto – quanto perché è impossibile separare l’analisi dell’opera filmica in quanto tale – con le sue scelte di regia, sceneggiatura, fotografia e quant’altro – da ciò che vuol raccontare e, quindi, trasmettere. Dal suo significato, insomma. E quindi è soprattutto al tema affrontato e a come lo stesso è trattato che ci si atterrà nel commentare brevemente l’opera.

Al centro del film vi è la gravissima crisi migratoria iniziata nel giugno del 2021 al confine tra la Bielorussia e l’Unione Europea. Impossibile, quindi, parlare di Green Border senza avere un’idea almeno superficiale di ciò che accadde meno di tre anni fa in quella periferia d’Europa e che continua ad accadere sia lì – seppur in modo attenuato – sia lungo altre frontiere del mondo. Tra giugno e novembre di quell’anno, grazie a tour spesso mascherati sotto la veste di viaggi dedicati al turismo e alla caccia, oltre 30.000 migranti provenienti soprattutto dal Medio Oriente, dall’Afghanistan e dal Mali – nonché dalla stessa Bielorussia – provarono ad attraversare il confine con la Polonia per chiedere asilo all’Unione Europea. Le radio e i social media bielorussi spinsero i migranti a tentare l’attraversamento della frontiera dando indicazioni errate se non fraudolente allo scopo di intasare i posti di confine più reconditi e nascosti fra Bielorussia e Lituania, Estonia e – soprattutto – Polonia. E così fu, infatti, in quella che la Polonia e altri paesi definirono una guerra ibrida sferrata dal dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnka al territorio dell’Unione: frontiere “aperte” per ricattare l’Unione Europea e ottenere condizioni più favorevoli nell’ambito delle sanzioni comminate per le elezioni farsa dell’anno prima.

Questo il contesto in cui si colloca la storia di finzione messa in scena dalla Holland. Una storia che di “finto” ha, in realtà, solo i protagonisti – che non sono persone reali – e non di certo gli eventi narrati. Il film si snoda, quindi, per quasi due ore e mezza colpendo senza sconti il cervello e lo stomaco dello spettatore, pur senza indulgere né in dettagli truculenti – buoni solo per attirare l’attenzione quando presenti – né in scene inutilmente melodrammatiche. Asciutto ed essenziale, pur senza tacer nulla.

La regista e gli sceneggiatori raccontano il disperato tentativo di entrare in Polonia di una famiglia di profughi siriani, che arriva a Minsk su uno dei tanti voli della speranza. A questa famiglia, composta da madre, padre, un nonno e tre figli – di cui uno piccolissimo – si aggiungono una donna proveniente dall’Afghanistan e altri migranti giunti dal Medio Oriente e dall’Africa. È l’inizio di un pellegrinaggio liminale davvero da incubo: per la famiglia siriana, infatti, l’obiettivo di mettersi in salvo in Svezia grazie al furgone inviato da un famigliare lì residente, fallisce miseramente. Tutti i componenti del nucleo e molte altre persone si trasformano in un attimo in “fantasmi” e in rifiuti umani, che si muovono in condizioni climatiche non facili fra il territorio bielorusso – dal quale vengono ripetutamente espulsi in modo brutale – e quello polacco, dove l’accoglienza non è certo migliore e dal quale sono a loro volta respinti, entrando in un circolo vizioso mortificante e pericoloso per la vita stessa, in un ambiente naturale ostile dove molti migranti trovano la morte.

L’attenzione dell’autrice si concentra in ugual modo sui profughi e sui cittadini polacchi, per un’opera corale che ci presenta – oltre alle peripezie dei primi – il dilemma morale di una guardia di frontiera e di sua moglie, con sullo sfondo la brutalità dell’esercito polacco, e il mondo degli attivisti, anch’esso variegato tra chi cerca di mantenere una giusta distanza vista come unico modo di garantire un aiuto efficace e chi – invece – si fa coinvolgere emotivamente, riuscendo magari a ottenere qualche risultato in più ma rischiando di compromettere le possibilità di un soccorso di carattere più generale.

La regista sceglie di girare l’intero film in un tetro bianco e nero, con la sola eccezione della scena iniziale del bosco visto dell’alto, nella quale gli alberi verdi virano rapidamente al marrone prima e al grigio poi, come se si trasformassero – anche visivamente – in un luogo di abbandono e di morte. Attraverso una recitazione misurata e senza fronzoli, la regista orienta il proprio sguardo su ciò che è avvenuto (e avviene) nella natia Polonia, il cui governo – di estrema destra, poi sconfitto nelle elezioni dello scorso ottobre – non ha per nulla gradito il contenuto del suo nuovo lavoro, boicottandone sia la promozione che la distribuzione in patria e all’estero. E tutto questo perché il film ha reso visibile e di pubblico dominio il comportamento brutale e disumano dei militari e delle forze dell’ordine, anche se reca i segni di una possibile speranza attraverso il comportamento e le scelte dei singoli cittadini, che di fronte alla loro coscienza decidono di aiutare i migranti, a rischio del lavoro e della vita: attivisti, medici, persone comuni e, talvolta, soldati di frontiera. Un mondo, quindi, di luci e ombre che convivono non solo in un’unica nazione e in un’unica comunità ma anche, e forse soprattutto, in una stessa persona. Un’idea guida spesso presente nei film di Agnieszka Holland, in cui l’essere umano – senza distinzione di nazionalità e fede religiosa – è solo una donna o un uomo, con i suoi pregi e i suoi difetti, sia essa vittima o carnefice.

Il risultato è un film splendido in cui, come accaduto altre volte, è l’arte – e nella fattispecie il cinema – a doversi far carico di un discorso che con l’arte, purtroppo, non ha nulla a che vedere poiché soprattutto politico, un discorso che interroga tutti noi, che seduti comodamente in poltrona sappiamo facilmente scegliere qual è la parte giusta. Ma cosa avremmo fatto se fossimo stati lì?

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