Titolo originale: Bugonia
Regia: Yorgos Lanthimos
Paese di produzione: Stati Uniti d’America, Corea del Sud, Irlanda
Anno: 2025
Il nuovo film di Yorgos Lanthimos giunge in sala in un momento in cui sono sugli schermi altri film (e registi) importanti quali Jafar Panahi, Luca Guadagnino, Guillermo del Toro, Luc Besson e Ari Aster, che – come Lanthimos – sono riconoscibili per la loro inequivocabile cifra stilistica.
Bugonia ripropone temi cari al regista greco ma con una maggior messa a fuoco delle caratteristiche dell’attuale società che più lo interessano e che erano già presenti in Kind of Kindness (2024), con il quale il film è in forte continuità. Partiamo dal titolo, che si riferisce a un episodio narrato nelle “Georgiche” di Virgilio, in cui il pastore Aristeo viene punito dagli dèi – attraverso la morte delle sue api – per la responsabilità che ha nella morte di Euridice; le api rinasceranno spontaneamente dal corpo del bue sacrificato dal pastore in riparazione delle proprie colpe. La citazione classica offre già molti elementi: da sempre l’essere umano di fronte a eventi che non vanno nella direzione auspicata ha cercato una ragione che fornisse una spiegazione e una possibilità di riparazione. Se nel mondo antico si attribuiva il fenomeno o quanto accaduto al volere di un dio e si esorcizzava il danno con un sacrificio riparatore, nella società odierna – desacralizzata – la strada del complottismo può costituire un facile e accessibile sostituto della fede in un’entità superiore, magari oppressiva ma al contempo consolante e riparatrice. È così Teddy Gatz, interpretato da un ottimo Jesse Plemons, ritiene che la responsabilità di tutto quanto gli è andato male nella vita – e l’elenco è davvero lungo e doloroso – sia colpa degli alieni e degli andromediani in particolare, che si nascondono tra gli esseri umani, occupano posizioni influenti e stanno spingendo l’umanità verso l’apocalisse, progetto di cui Teddy coglie molteplici segni, tra i quali vi è la diminuzione drastica delle api negli alveari, direttamente collegata al mito richiamato nel titolo. Teddy decide, quindi, di rapire la CEO di un’importante azienda farmaceutica – Michelle Fuller (Emma Stone), che crede sia una degli alieni – con l’idea di negoziare con gli invasori extraterrestri la salvezza del genere umano.
Su questa iniziativa paranoide di Teddy si basa l’intero plot del film, che per la maggior parte del tempo si svolge nella casa del protagonista
ed è incentrato sul confronto tra l’uomo radicato nelle sue convinzioni – affiancato dal cugino Don (Aidan Delbis), totalmente succube anche a causa di un ritardo mentale – e Michelle. Nella descrizione del confronto fra i due personaggi torna la tematica del rapporto di potere fra gli individui, così centrale nella produzione artistica di Lanthimos. Anche in Bugonia, il potere – che nei miti tanto citati dal regista è accentrato nelle figure istituzionali e religiose – è esercitato nei rapporti interpersonali e dipende dalle maggiori o minori capacità intellettive e manipolatorie dei diversi soggetti coinvolti. Questo potere è nelle mani di Teddy in quanto carceriere ma, allo stesso tempo, persona estremamente fragile a causa di trascorsi dolorosi che non ha elaborato per la mancanza di adeguati strumenti culturali, strumenti che sono ampiamente in possesso – invece – della donna. Di conseguenza, Teddy appare come un carceriere potenzialmente violento ma debole e manipolabile, mentre Michelle – seppur prigioniera – ha capacità dialettiche superiori che possono diventare sottilmente manipolatorie, come evidenziato nella parte iniziale del film attraverso i discorsi che tiene ai sottoposti in qualità di CEO dell’azienda in cui opera.
Lanthimos consegna al pubblico un affresco critico della società contemporanea e – in particolare – di quella americana, dove chi è più debole e meno attrezzato culturalmente si rifugia nei peggiori e più assurdi estremismi, alimentati da bolle (social)mediatiche inquinate da un uso acritico e non consapevole della tecnologia, con il risultato di negare de facto a queste persone qualsiasi possibilità anche minima di riscatto. Nel finale, il regista si diverte a scompigliare le carte distribuite nelle due ore precedenti scegliendo una soluzione non del tutto imprevedibile, che gli permette di far emergere la (propria) pessimistica convinzione del fatto che l’umanità è irredimibile e merita, per questo, un’impietosa estinzione.
Bugonia è stato girato in VistaVision senza ricorrere agli obiettivi grandangolari deformanti che così tanto hanno caratterizzato due dei film più importanti del regista, La favorita (2018) e Povere creature! (2023). Ciononostante, sono ancora una volta le immagini e le situazioni tensive e claustrofobiche a farla da padrone, qui ottenute grazie alle preponderante ambientazione del film nella cantina della casa di Teddy. Condite, a tratti, con più che un qualche pizzico di pulp.