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FRANKENSTEIN | Frankenstein o del riconoscimento dell’Altro

Titolo originale: Frankenstein

Regia: Guillermo del Toro

Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Anno: 2025

 

Immagine 1 1Il film di Guillermo del Toro giunge in chiusura di un anno in cui altri due importanti registi – giovane il primo, sulla soglia della vecchiaia il secondo – sono tornati, per i loro nuovi lavori, alle storiche e immortali radici del gotico e dell’horror. E quindi, dopo il Nosferatu (2024) di Robert Eggers e pochi giorni prima del Dracula – L’amore perduto (2025) di Luc Besson, ecco il Frankenstein del cineasta messicano. Il cast è davvero importante, sia nei ruoli chiave del dottor Victor Frankenstein (Oscar Isaac) e della Creatura (Jacob Elordi), sia in quelli secondari ma non meno rilevanti di William Frankenstein (Felix Kammerer), Henrich Harlander (Christoph Waltz), Lady Elizabeth Harlander (Mia Goth), nonché del Barone Leopold Frankenstein (Charles Dance) e del capitano Anderson (Lars Mikkelsen). Ci sono tutte le premesse, quindi, per un film da non perdere.

E l’inizio tra i freddi ghiacci dell’Artide non tradisce le aspettative. Victor Frankenstein, gravemente ferito, arriva nelle vicinanze di una nave bloccata dalla banchisa polare, braccato da una Creatura dalla forza incredibile. Questa esige dall’equipaggio che gli venga consegnato lo scienziato e di fronte al rifiuto del capitano Anderson va su tutte le furie e attacca la nave, uccidendo alcuni marinai prima di essere ucciso a sua volta con un’arma di grosso calibro. Ma la Creatura ha la straordinaria capacità di rigenerare le proprie ferite…Il ben riuscito Immagine 3 1prologo costituisce l’espediente narrativo, adattamento di quello del romanzo “Frankenstein o il moderno Prometeo” di Mary Shelley, grazie al quale Victor Frankenstein può raccontare la propria vita e la terribile vicenda che si cela dietro la caccia all’uomo che vede proprio lui nelle vesti di preda.

La sceneggiatura scritta da del Toro – ispirata, ovviamente, al romanzo della Shelley – si prende il tempo necessario (ben 149 minuti!) per sviluppare tutto ciò di cui l’autore vuole parlare, attingendo come sempre a piene mani dall’horror e dal fantastico e facendo vibrare le corde del patetico e del sentimentale come già fatto altre volte in passato. Non solo, però: come non notare, infatti, i tanti richiami – alcuni evidenti, altri solo accennati – al favolistico disneyano e all’immaginario fantascientifico e addirittura fumettistico? Al fianco dell’Uomo che gioca irresponsabilmente a fare il Dio creatore, troviamo – infatti – suggestioni che provengono da La bella e la Bestia (1991), dall’universo Marvel – chi se non Wolverine è dotato della capacità di autorigenerare i propri tessuti? – o addirittura, con il suo occhio sinistro incendiato di rosso come quello della Creatura, dal Terminator (1984) di James Cameron. Immagine 4In  fondo, chi o cosa sono Wolverine e Terminator se non il frutto deviato della volontà delirante di un creatore umano (o di un derivato artificiale di quello umano)? Il regista messicano, però, ribalta le caratteristiche dei due personaggi, de-ferinizzando l’incontrollabile immortale dei fumetti e umanizzando sotto ogni punto di vista il cyborg cacciatore di uomini.

Al centro della vicenda, Guillermo del Toro pone il tema del diverso e dell’accettazione della sua irriducibile differenza e specificità da parte del genere umano “normale”, già trattato con fantasia, umanità e ironia ne La forma dell’acqua, premiato con l’Oscar al miglior film nel 2017. A svolgere il ruolo fondamentale di chi sa riconoscere il diverso, lo straniero, l’alieno sono – in questo caso – in molti e in ciò risiede l’ottimistico messaggio del regista. Durante la breve esistenza vissuta da solitario fuggitivo, sarà per primo un vecchio cieco a “vedere” in lui – la Creatura – un essere umano degno di accettazione e amicizia. E dopo il  vecchio, toccherà a Lady Elizabeth esprimere compassione, prima, e qualcosa di vicino all’amore, poi. Infine, spetterà al capitano Anderson assistere – in un finale dal tono patetico – alla sua definitiva umanizzazione, sancita perdonando un Victor riconosciuto come padre.

Immagine 2 1In conclusione, Guillermo del Toro confeziona un prodotto d’intrattenimento evocativo e malinconico, modernizzando la storia da cui è tratto grazie a una prospettiva che privilegia le nuove sensibilità, allontanandosi dal puro horror per parlare – in un’epoca difficile come quella attuale – dell’esistenza di un Altro al quale non si può (continuare a) negare esistenza e umanità. Per ottenere tutto ciò, ricorre a un cast davvero internazionale e si affida sia a una scenografia velatamente steampunk – che così bene si adatta alla storia del dottor Frankenstein – sia alle musiche del due volte premio Oscar Alexandre Desplat. Forse non il suo miglior film ma di certo un’opera coerente con la storia e la poetica del cineasta messicano.

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