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LA VOCE DI HIND RAJAB | Il sadismo elevato a sistema

Titolo originale: Ṣawt al-Hind Rajab

Regia: Kawthar ibn Haniyya

Paesi di produzione: Tunisia, Francia

Anno: 2025

Un film straordinario. Emozionante e atroce. Un film necessario. Da non perdere.

Straordinario perché ci parla di circostanze straordinarie, quelle del massacro della popolazione di Gaza, uno sterminio in diretta come non si era mai visto prima, e perché parte da una documentazione straordinaria, una traccia audio originale che è la registrazione delle telefonate – e dell’agonia – di Hind Rajab, una bimba palestinese di sei anni intrappolata in un’auto crivellata di colpi dall’esercito israeliano, fra i cadaveri dei suoi familiari, mentre implora aiuto con gli operatori del soccorso palestinese che cercano in ogni modo di confortarla e soccorrerla.

Emozionante perché induce empatia con tutte le persone coinvolte, a prescindere da quale sia il loro ruolo e il loro atteggiamento, in un crescendo di tensione che risulta atroce di fronte all’assurdità della situazione, con un’ambulanza disponibile a soli otto minuti dalla bambina ma che non può muoversi perché manca il nulla osta dell’esercito israeliano che non si fa scrupolo di sparare alle ambulanze e ai soccorritori.

Necessario perché del massacro di Gaza e dei palestinesi si parla comunque troppo poco e con un’informazione gestita dai canali mediatici occidentali che velano e ammorbidiscono il racconto di questa tragedia, occultando la ferocia dell’esercito israeliano, che nella pellicola appare invece in tutta la sua crudeltà ed efferatezza, anche se nelle riprese non si vede una goccia di sangue, ma il racconto serrato fa emergere con straordinaria nitidezza la volontà di annientamento fisico e psicologico di tutto il popolo palestinese, di Gaza e della Cisgiordania, perseguito con freddezza, scientificamente, dalle forze armate e dal governo di Israele.

Da non perdere per la qualità filmica e interpretativa della pellicola, ma soprattutto per il suo valore di testimonianza e per l’urgenza, la necessità di mostrare tutta la solidarietà possibile alle vittime di questo Genocidio. 

Non vi piace questa parola? Allora potete dire massacro, sterminio, ecatombe, pulizia etnica, strage degli innocenti, quello che vi pare, ma la sostanza non cambia, questo film evidenzia – per l’ennesima volta, se ancora ce ne fosse bisogno – la precisa volontà persecutoria di Israele nei confronti dei palestinesi, di tutti i palestinesi, in atto da decenni, ma che ha subito una drammatica accelerazione dopo gli attacchi terroristici del 7 ottobre 2023, presi a pretesto per mettere in atto quella che si potrebbe definire “la soluzione finale” della “questione palestinese” da parte di Israele.

Da quasi due anni, l’IDF, l’esercito israeliano, sta massacrando la popolazione civile inerme della striscia di Gaza, con una superiorità tecnologica e bellica schiacciante, mentre in Cisgiordania i coloni ebrei ultra ortodossi partono dalle loro colonie illegali per perseguitare i residenti palestinesi, in un disegno complessivo che vuole la loro totale scomparsa dal territorio israeliano, con l’eliminazione fisica o la cacciata dalle loro abitazioni e dai loro territori.

L’episodio narrato dal film è paradigmatico di questa situazione insostenibile e vergognosa.

Siamo nella Striscia di Gaza, all’inizio del 2024. La popolazione palestinese di una porzione a nord del territorio riceve un ordine di evacuazione da parte dell’esercito israeliano. La famiglia di Hind Rajab, come migliaia di altri residenti, si mette in viaggio, alla disperata ricerca di un luogo sicuro. All’altezza di una stazione di servizio, la loro auto viene crivellata di colpi da un carro armato. La cugina di Hind fa appena in tempo a telefonare al centro operativo della Mezzaluna Rossa per chiedere soccorso, prima di soccombere sotto la pioggia di proiettili. Sembra “solo” l’ennesimo massacro di civili inermi, ma un parente – che telefona dalla Germania, uno dei tanti esuli della diaspora palestinese – segnala che una bambina è sopravvissuta all’interno dell’auto, fra i cadaveri degli zii e dei cugini.

Da questo momento parte un’odissea tragica e assurda, con gli operatori del centro di soccorso impegnati da un lato a rimanere al telefono con la bambina traumatizzata e terrorizzata, nel tentativo di confortarla in attesa dei soccorsi, dall’altro invischiati in un complicato sistema burocratico di richieste di permessi di transito per ottenere il via libera e un percorso sicuro attraverso le linee dell’esercito israeliano che controlla militarmente ogni centimetro e non esita a sparare a chiunque. A causa di questo muro di gomma contro il quale si infrangono le richieste dei soccorritori, gli otto minuti di strada che separano l’ambulanza dalla bambina diventano ore di telefonate, richieste, dinieghi, un labirinto burocratico che nasconde il sadismo degli aggressori, perfettamente consci della situazione, ma che lasciano volutamente tutti nella disperazione, compresa la piccola Hind. Lo sottolinea chiaramente uno dei protagonisti, quando afferma che l’esercito sa perfettamente che all’interno di quell’auto c’è una bambina ancora viva, la vedono con gli infrarossi, la sentono grazie a un controllo capillare delle telecomunicazioni, ma la tengono lì a soffrire, spietatamente, alimentando l’angoscia dei soccorritori e la disperazione della madre, rimasta ad accudire il fratellino più piccolo.

Il film procede seguendo il filo della traccia audio originale, con la flebile voce di Hind che arriva dall’inferno della Striscia di Gaza a sfiorare la nostra anima e a scuotere le nostre coscienze, mentre l’azione si svolge totalmente nella sala operativa della Mezzaluna Rossa, dove le fasi della tragedia sono ricostruite da interpreti eccezionali che ci fanno rivivere perfettamente le parole, i movimenti, le posture, le angosce degli operatori coinvolti, con una scelta del casting azzeccatissima che sovrappone anche fisicamente attori e soccorritori, come si evince dalla riproduzione di alcune situazioni riprese in diretta, coi telefonini, dalle stesse persone coinvolte, e come si può vedere sui titoli di coda, dove appaiono le foto dei soccorritori.

La ricostruzione è dunque fedelissima, il ritmo serrato, il coinvolgimento dello spettatore intenso, tanto che sui titoli di coda non si assiste al solito fuggi-fuggi di spettatori che abbandonano la sala velocemente, manco avessero il treno che parte. Qui la maggior parte resta seduta, nel buio della sala, davanti ai titoli che scorrono, con la consapevolezza che quello che si è appena visto sullo schermo è successo davvero, non è frutto della fantasia di qualche sceneggiatore, dunque serve un attimo di pausa, quasi di raccoglimento, per sedimentare il racconto, per metabolizzare la sensazione di impotenza e oppressione vissuta quotidianamente dal popolo palestinese e che la pellicola ci trasmette. Un attimo di tregua necessaria prima di riemergere alla nostra quotidianità, così distante e aliena da quella tragedia.

Ma la voce della piccola Hind, che ci implora, ci supplica di andare a prenderla, di salvarla, rimane scolpita nelle coscienze, e resta il rammarico per quella occasione mancata alla Mostra del Cinema di Venezia, dove la pellicola si è aggiudicata il Gran Premio della Giuria, mentre sarebbe stato giusto e opportuno assegnare il Leone d’Oro, come riconoscimento alla qualità intrinseca del film e come forte presa di posizione del mondo della cultura verso la strage in corso a Gaza, ma è mancato il coraggio. 

Ora è compito della società civile raccogliere la richiesta di soccorso di Hind, anche se per lei, purtroppo, non c’è più niente da fare. Ma il suo grido di aiuto è quello di un intero popolo inerme, massacrato da mesi, in uno stillicidio di uccisioni e persecuzioni portate avanti da Israele scientificamente, con sadismo e ferocia. Non possiamo essere complici, dobbiamo ascoltare questo appello disperato e fare tutto ciò che possiamo per rompere l’assedio e fermare il massacro.

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