_UN PROGETTO DI BABELICA APS

[SPECIALE] SHOSHANA | La nascita di una nazione

Regia: Michael Winterbottom

Anno: 2023

Produzione: Regno Unito, Italia

una recensione a cura di Elena Pacca

Eclettico, versatile, prolifico. Winterbottom scandaglia ogni possibile ambito narrativo con l’abile mestiere, di chi ha lambito l’autorialità, senza che questa gli fosse mai forse del tutto riconosciuta, pur con le tre candidature alla Palma d’Oro e la conquista dell’Orso d’Oro a Berlino con In This World, un film semi documentaristico nel 2003.

Qui si torna indietro di quasi un secolo per affrontare una storia che oggi riverbera ancor più drammaticamente il suo lascito, per delineare un inizio. Siamo nel territorio gestito dal protettorato britannico in Palestina, in cui convivono gli arabi ed un numero sempre più consistente di ebrei, giunti lì a seguito dei flussi migratori. Tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso. In questo contesto è il gruppo estremista Irgun a provocare una serie di attentati contro la comunità palestinese, contrapposto al gruppo moderato e di matrice socialista Haganah con gli inglesi che cercano di mantenere il controllo della situazione che si fa via via sempre più incandescente. Poi il secondo conflitto mondiale assumerà un’importanza cruciale anche per quei territori, in un gioco di alleanze e spartizioni che daranno il via ad una somma di criticità e di soprusi sempre più gravi.

Per fare un parallelo siamo dalle parti – stilisticamente parlando – di Munich di Steven Spielberg. Ma, per l’appunto, Winterbottom non è Spielberg e dunque non godrà della stessa apertura di credito riservata al regista statunitense, verso un’opera tanto osannata quanto non tra le più sfavillanti della sua filmografia. Al netto di una recitazione a tratti enfatica e con un carico espressivo che producono un po’ l’effetto soap turca, il film scorre con un discreto ritmo tra le venature thriller, storiche, sociologiche e sentimentali, fra ideali, contrasti ed utopie. Risparmiandoci, fortunatamente in questo caso perché assolutamente non necessaria – e Winterbottom non lavora per sottrazione quando occorre, vedasi 9 Songs – la sessualità esplicita della coppia protagonista, (Shoshana Borochov/Irina Staršenbaum, figlia del cofondatore del movimento operaio sionista Ben Borochov e Thomas Wilkin/Douglas Booth, comandante del nucleo antiterrorismo delle forze di polizia britannico-palestinesi) al contrario dell’inappropriata gratuità spielberghiana.

Un film pensato e realizzato prima dei fatti del 7 ottobre 2023 e di tutto ciò che ne è conseguito, quindi assolutamente non in diretta correlazione di quegli eventi e del prosieguo che sta configurando un genocidio, ma, bensì, uno sguardo su un conflitto innescatosi ormai molto tempo fa e destinato a inasprirsi con conseguenze tragiche in una spirale feroce di atrocità permanente.

Winterbottom, inglese di Blackburn, Lancashire, al di là dei riferimenti beatlesiani, è particolarmente severo nei confronti dei suoi connazionali, correi, forse, stante anche alcune ultime tesi storiografiche israliane, di aver dato spazio nonché avvio ad un progetto – quello sionista –  tendenzialmente colonialista, seppur dai confini circoscritti, di cui gli inglesi sono stati nel corso dei secoli, attori protagonisti di questa “progettualità” espansionistica del proprio impero.

Un affresco – come si sarebbe detto un tempo – su un’epoca e una storia a tratti misconosciuta che deve giocoforza fare i conti con certe ellissi temporali, con delle ovvie semplificazioni e naturali omissioni e con una focalizzazione accentuata sulla parte romance e sulla figura femminile (come il titolo stesso suggerisce), attingendo diligentemente dal vissuto di personaggi reali, romanzando quel che serve, in un mix che si prende i suoi rischi e ne paga, in parte, le conseguenze. 

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