Regia: Basel Adra, Yuval Abraham, Rachel Szor, Hamdan Ballal
Produzione: Palestina, Norvegia
Anno: 2024
No Other Land è una testimonianza toccante e straziante della persecuzione che da decenni lo stato israeliano mette in atto contro la popolazione civile palestinese della Cisgiordania.
Tutta la vicenda si snoda nel territorio di Masafer Yatta, nucleo abitativo frammentato in una ventina di villaggi a sud della Cisgiordania, terra palestinese a sua volta frammentata dalle politiche espansioniste di Israele, che continua a estendere le proprie colonie illegali, a dispetto delle risoluzioni e dei divieti emanati dall’ONU. La popolazione della zona vive di un’economia di sussistenza, basata essenzialmente su agricoltura e pastorizia, rivendicando semplicemente il diritto ad abitare la terra dei loro padri e dei loro avi, senza altra pretesa se non quella di essere lasciati in pace. Ma Israele distrugge progressivamente le loro case, in base a una disposizione unilaterale che prevede una serie di espropri per trasformare quell’area in una zona di addestramento per il proprio esercito. Un evidente sopruso giuridico, visto che le terre in questione sono fra quelle che dovrebbero fare parte del futuro Stato palestinese, come auspicato da larga parte della comunità internazionale. Ma Israele, o perlomeno il suo attuale governo, non ha alcuna intenzione di permettere ai palestinesi di avere un proprio territorio dove costituirsi come nazione e autodeterminare la propria esistenza. Per questo l’attuale esecutivo di Tel Aviv persegue una politica di aggressione costante nei confronti delle comunità palestinesi della Cisgiordania, sottoponendo la popolazione a quello che Amnesty International definisce «Apartheid israeliano contro i palestinesi. Un crudele sistema di dominazione e un crimine contro l’umanità».
Una situazione chiaramente esemplificata nella pellicola, dove le riprese dal vivo documentano decine di episodi di abusi, soprusi, prevaricazioni e violenze che gli israeliani portano avanti alternando la forza del “diritto” sancito unilateralmente dai propri tribunali alla forza della violenza esercitata brutalmente dai coloni, in gran parte ebrei ultra ortodossi, spesso con la complicità dell’esercito di Tel Aviv. Due facce della stessa medaglia, quella della legge del più forte, esercitata con l’arroganza e la ferocia di chi sa di poter agire in totale impunità, sotto l’ombrello protettivo di un Occidente che giustifica qualunque nefandezza con il ritornello “Israele ha diritto di difendersi”.
Ma le immagini di No Other Land smascherano l’ipocrisia occidentale: qui non c’è nessun atto di difesa, bensì un’aggressione continua alla popolazione palestinese, con l’evidente scopo di rendere la loro vita impossibile, costringendoli ad abbandonare la propria terra e a concentrarsi nella città di Hebron (almeno fino a quando Israele non li scaccerà anche da lì). In Cisgiordania si combatte una guerra strisciante, dove le armi di conquista non sono i carri armati, ma i bulldozer, usati come teste d’ariete per demolire le case dei palestinesi, che trovano rifugio dentro ad anguste grotte abitate fin dalla preistoria, luoghi che evocano nelle nostre menti la stalla nella quale, secondo la tradizione cristiana, sarebbe venuto alla luce Gesù, dopo che i genitori non avevano trovato altro rifugio. Da questi ripari ancestrali i palestinesi, con pazienza e ostinazione, portano avanti le loro vite fatte di pura resilienza, ricostruendo di notte ciò che gli israeliani demoliscono di giorno, come in una tragica versione rovesciata della tela di Penelope.
L’autore della pellicola è Basel Adra, un ragazzo palestinese del 1996 nativo di questi luoghi, che conserva come primo ricordo della sua vita l’arresto di suo padre, benzinaio del paese, ma soprattutto attivista impegnato a difendere i propri concittadini vittime degli espropri imposti da Israele. A lui si affianca, nelle immagini e nell’azione di testimonianza e denuncia, il giornalista israeliano Yuval Abraham, giudicato da molti suoi compatrioti come una sorta di traditore che spalleggia il “nemico”. Eppure, osservando impietriti le immagini che scorrono sullo schermo, è davvero impossibile etichettare come ostili e pericolose queste persone che vengono allontanate a forza e assistono impotenti alla distruzione delle loro case con dentro le loro cose, alla demolizione della scuola dei propri figli, alle colate di cemento che sigillano i pochi pozzi ancora non controllati dai coloni israeliani. Mentre è evidente la politica di aggressione messa in atto dal governo di Tel Aviv, peraltro “democraticamente eletto” e che dunque gode del consenso della maggioranza della popolazione. Un governo che si regge con l’apporto determinante dei partiti dell’ultra destra espressione dell’ala più ortodossa e radicale dell’ebraismo, quella che vive in stretta osservanza dei dettami della Bibbia, esattamente come nella Repubblica islamica dell’Iran il governo segue i precetti del Corano.
In questa situazione, sarebbe forse il caso di smettere di considerare Israele come una democrazia, quale è stata fino a non molto tempo fa, e iniziare a guardarlo per ciò che è ora: una teocrazia, dove la legge è una emanazione diretta della religione. Naturalmente, sappiamo bene che affermare una cosa del genere ci espone con certezza all’accusa infamante di essere etichettati come “antisemiti”, oltraggio rivolto a chiunque osi mettere in discussione l’operato del governo di Israele. Eppure anche i palestinesi sono semiti, come tutte le popolazioni che parlano arabo, del resto. È evidente dunque che il termine “antisemita” è abusato e utilizzato in modo improprio. Nel contesto documentato dalla pellicola, per assurdo è l’esercito israeliano a essere antisemita, visto che perseguita il popolo semita dei palestinesi. Quindi, sarebbe meglio smetterla con etichette, slogan e frasi fatte e iniziare a vedere le cose per quello che sono, come documentano senza sconti le immagini di No Other Land girate con grande coraggio dai sopra citati Basel Adra e Yuval Abraham, coadiuvati dal palestinese Hamdam Ballal, e dall’israeliana Rachel Szor, in una collaborazione che cerca di abbattere il muro contro muro fra le due nazioni e che ha ottenuto anche un riscontro internazionale, attirando l’attenzione dei media e della società civile occidentali.
Un’opera coraggiosa, filmata a rischio della propria incolumità personale, che scuote le coscienze e lancia un grido di aiuto per quelle popolazioni martoriate e di pace per quella regione. Un grido destinato a essere soffocato dalla guerra. Infatti le vicende narrate nella pellicola si dipanano fra l’estate del 2019 e l’ottobre del 2023, appena prima del feroce attacco di Hamas contro la popolazione civile israeliana, che ha portato anche alla cattura di ostaggi e all’altrettanto feroce reazione israeliana, che a sua volta ha provocato più di 40.000 morti, in gran parte civili, moltissimi dei quali bambini. Il conflitto, o meglio il massacro, è focalizzato come ben sappiamo sulla Striscia di Gaza, ma la rappresaglia israeliana ha colpito anche la incolpevole popolazione della Cisgiordania, a partire proprio dalla città di Hebron e dintorni. Dunque, quando si guardano con sgomento e rabbia le terribili immagini di No Other Land, bisogna tenere a mente che oggi, purtroppo, la situazione è molto, molto peggiore.