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LA SALA PROFESSORI | Un microcosmo riflesso del mondo

Titolo originale: Das Lehrerzimmer
Regia: İlker Çatak
Anno: 2023
Produzione: Germania

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

La sala professori è il film del regista tedesco İlker Çatak candidato all’Oscar ‘24 come miglior film straniero.

Germania. Carla Nowak (Leonie Benesch) è un’insegnante di matematica e ginnastica (mens sana in corpore sano, quindi) di una classe di scuola media. Ed è, soprattutto, un’idealista. Ciò che durante le lezioni cerca di trasmettere agli allievi sono il comportamento corretto e il senso critico. E, soprattutto, l’abitudine a fare solo affermazioni dimostrabili, cioè spiegabili in modo razionale. Niente impressioni o vaghe sensazioni, quindi, ma solo una sana propensione al ragionamento.

Fra gli allievi, Oskar incarna più di altri il risultato degli insegnamenti di Carla, dimostrando la capacità di trovare soluzioni originali ai quesiti da lei posti nell’ambito della propria materia. Le dinamiche interne al gruppo di studenti sono quelle tipiche della preadolescenza, con canzonature rivolte a turno a chi è troppo magro o troppo basso, a chi è considerato un secchione e a chi non riesce a prendere mai la sufficienza. Ma quella che è una condizione nella norma è destinata a peggiorare a causa di alcuni piccoli furti. La scuola si mostra incapace di gestire il problema, tra pressioni indebite a cui gli allievi non sono attrezzati a resistere, inviti alla delazione e perquisizioni degli studenti. Metodi che si rivelano – oltre che assai discutibili sul piano educativo – anche poco o nulla efficaci, poiché non permettono di dimostrare con certezza alcunché. In realtà, anche la reazione di Carla, che non condivide i metodi adottati, non fa che peggiorare la situazione: durante una pausa lascia intenzionalmente il portafoglio nella propria giacca in vista del personal computer, sul quale avvia una ripresa video. Al suo ritorno, scopre che mancano alcune banconote e la registrazione rivela un braccio coperto da una camicetta il cui disegno permette di risalire alla potenziale ladra, l’amata e cordiale segretaria della scuola che è anche la mamma di Oskar. Dopo il tentativo di risolvere la cosa in modo informale, la docente è costretta a denunciare l’accaduto alla preside seppur in assenza di prove certe, decisione in evidente contraddizione con quanto insegnato agli allievi. È l’inizio di una reazione a catena che porterà alla luce tutto il peggio che può accadere nelle relazioni sociali – formalizzate e non – fra le persone.

Attraverso una storia semplice e vagamente claustrofobica – l’intera vicenda si svolge all’interno del complesso scolastico – il film racconta le difficoltà della società umana e la complessità dell’epoca in cui viviamo. Al centro vi sono non solo il comportamento di un gruppo di adulti costretto a condividere obiettivi e spazi – con il correlato di incomprensioni, disaccordi e pregiudizi, talvolta celati da apparente collaboratività – ma anche i problemi che la realtà contemporanea porta con sé: mancanza generalizzata di autorevolezza, integrazione degli immigrati, diritto alla privacy, uso dei social, ecc.. Il gesto di riprendere immagini non autorizzate seguito dalla denuncia alla preside, innesca – quindi – un’inarrestabile sequenza di eventi che mettono a dura prova i nervi di tutti.  Fino all’uscita sul giornalino della scuola di un articolo sommario sulla vicenda – che diventa pubblica – e alla ribellione di Oskar, la cui crescente esasperazione lo spinge a gesti estremi come sottrarre il personal computer con il video incriminato e gettarlo nel fiume. Nonostante Carla si adopri per non complicare ulteriormente la situazione, il ragazzo sarà comunque sospeso e il suo rientro a scuola a dispetto della sospensione, porterà a un finale aperto in cui nulla si risolverà e in cui il ragazzo sarà accompagnato fuori dall’istituto dai poliziotti, che lo portano via sollevandolo con tutta la sedia a cui è abbarbicato, per un’uscita che sembra quasi il trionfo di un re ma è, al contrario, una chiara dimostrazione del fallimento delle istituzioni.

İlker Çatak gira un film in cui la storia narrata è un solo un mezzo con cui parlare più che dell’istituzione scolastica tedesca – che non ne esce comunque bene – della società in cui viviamo, dove ai vizi tipici delle relazioni umane si aggiungono la difficoltà di gestire l’uso delle tecnologie e la mancanza di credibilità e autorevolezza della scuola – dovuta anche all’atteggiamento di famiglie colpevolmente iperprotettive – che invece di operare di concerto con gli altri attori in gioco si arrocca su posizioni di ordine e controllo, così di moda nelle odierne società europee. In filigrana traspaiono, quindi, il latente razzismo, la visione autoritaria dell’istituzione scolastica e le difficoltà a gestire gli eventi a causa del veloce diffondersi di informazioni mal verificate, che va ad alimentare i problemi relazionali fra le parti.

Il risultato è un film amaro che non lascia particolari speranze e con un finale interlocutorio in cui il futuro personale e famigliare di Oskar, senza dubbio una delle parti lese, resta avvolto nell’incertezza. Come quello della società nel suo complesso.

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