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LA SALA PROFESSORI | Furti, pregiudizi e false accuse

Titolo originale: Das Lehrerzimmer
Regia: İlker Çatak
Anno: 2023
Produzione: Germania

una recensione a cura di Elena Pacca

Un comprensorio scolastico.

La piccola comunità di una classe delle medie inferiori.

Un’insegnante idealista e appassionata al primo incarico.

Piccoli furti.

La ricerca dei colpevoli.

Una serie di azioni/reazioni a effetto domino che indirizzeranno gli eventi a precipitare in un certo modo.

Questi gli ingredienti del film del regista tedesco di origine turca Ilker Çatak – candidato agli Oscar 2024 per la Germania – che mette in scena la scuola come laboratorio in nuce della società civile di ogni epoca.

La scuola è, apparentemente, uno scenario semplice o quanto meno dalle coordinate delimitate già solo per il suo essere circoscritto in un territorio definito, perimetrato non solo dalle mura degli edifici, dalle aule, dagli spazi comuni, ma anche dal tempo, un tempo cronologicamente dato che si sviluppa con un ingresso, un inizio e un’uscita, una fine, a definire un percorso che in qualche modo esaurisce nello spazio/tempo di qualche ora il suo portato e il suo raggio d’azione. È altresì un campo minato nel quale può essere facile inciampare nelle trappole della retorica, del moralismo, della divisione manichea tra buoni e cattivi, nell’esaltazione dell’esempio esemplare o nella estremizzazione di quello esecrabile. Trova i suoi attestati migliori, in senso cinematografico, quando lo scenario scolastico è presente ma accessorio ad un’altra storia: da I 400 colpi di Francois Truffaut a, per venire ai giorni nostri, The Holdovers di Alexander Payne. Ma quella è un’altra storia, per l’appunto.

La scuola, invece, intesa come prima immissione a un contesto di socialità per gli esseri umani è cartina di tornasole non solo di un’epoca ma di una società. Il rapportarsi con gli altri, la nascita di amicizie, inimicizie o anche perché no, indifferenza. Sentimenti di solidarietà e sostegno come di avversione, tutto si apre alle dinamiche interpersonali che interessano gli individui a ogni età, aprendo naturalmente la strada alla conflittualità. E questo è il naturale substrato della vicenda che vede protagonista la professoressa di matematica ed educazione fisica Carla Novak/Leonie Benesch. Il regista la segue da vicino quando non vicinissimo e molto si gioca sulle microespressioni del suo volto mobile e in grado di far trasparire una gamma emotiva cangiante e capace di scarti repentini. Carla è a disagio con il clima para-poliziesco della scuola, impartito dalla direttrice e accettato dai professori di più lungo corso. I furti e la ricerca del colpevole mettono sotto pressione gli studenti sottoponendoli a una torchiatura che metterà a repentaglio la “normale” quiete scolastica.

Senza nulla rivelare in più, in quello che ha anche i tratti di un thriller psicologico, una serie di mosse e contromosse, tra buona fede, ingenuità, intenti coercitivi, voltafaccia e prese di posizione, non ultimo l’intervento dei genitori di alcuni alunni, o, le strumentalizzazioni di convenienza, si giunge, dopo una parte centrale che un po’ si attorciglia su sé stessa ad un crash che il regista mantiene aperto, lasciando irrisolti i dubbi e i ripensamenti sulle azioni, i torti e le ragioni di ciascuno. Come si sa, le strade – come le aule probabilmente – sono lastricate di buone intenzioni, ma non sempre queste portano al bene comune. Anzi. Spesso la realtà ci sfugge di mano e niente va come dovrebbe andare o come noi avremmo pensato che andasse. Anzi. Spesso si va oltre. Si oltrepassano i confini e le conseguenze sono imponderabili e, talvolta, irreversibili. E ci si ritrova soli. Carla è speculare a quel Lucas interpretato da Mads Mikkelsen ne Il sospetto di Thomas Vinterberg. Quando all’improvviso il vento cambia e da – nemmeno innocenti, ma come chi non ha commesso nulla che possa accedere ad un giudizio di merito (in quel caso con connotazioni addirittura di carattere penale) – si ritrova artefice di un misfatto che distorce le implicazioni originarie e si configura in modo tale da ritorcersi contro e capace di generare un mutamento da parte di chi prima, invece, nutriva stima, considerazione e rispetto. Il gioco diventa duro e Carla mostra la sua fragilità dinanzi a eventi imprevisti. La sicurezza di essere amata dai suoi ragazzi viene meno e si ritrova sola su un fronte ingrato e difficile da gestire. Se soltanto si potesse tornare indietro con un rewind, per riavvolgere il nastro sino a quei gesti che ovviamente capiamo essere forieri di uno scivolo ambiguo, un atto maldestro, istintivo e potentemente capace di procurare il danno e di infettare – se così si può dire – l’ambiente “protetto” della scuola con un virus che si propaga inesorabile, sino a minarne, non si sa per quanto, le condizioni di “salute” della medesima.

A dispetto di una rappresentazione dello scontro che si scatena un po’ all’improvviso, non senza motivo, ma repentinamente (così come ne Il sospetto, peraltro) Ilker Çatak rifugge dal cerchiobottismo in cui ognuno ha un po’ ragione e ciascuno un po’ torto, anche se a una lettura superficiale potrebbe apparire così. La situazione è più complicata. Torto e ragione sono osmoticamente compenetrate nella natura delle cose, ma i diversi livelli non sono ugualmente sovrapponibili. La realtà ha più sfaccettature e non sempre si riesce a ricomporla come in un cubo di Rubik. La tolleranza zero professata dalla preside non riesce a contenere il contenzioso. I rapporti di potere vengono messi alla prova e producono “danni collaterali”, le criticità emerse pongono interrogativi e domande di natura etica. E alla fine il vuoto che spegne i clamori e invade l’edificio scolastico è quello che si apre al sentimento di amarezza e di sconforto per l’incapacità di trovare soluzioni e risposte che abbiano un senso e un valore comuni e condivisibili.

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