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2073: ULTIMA CHIAMATA | La fine del mondo è ora

Titolo: 2073 – Ultima chiamata

Regia: Asif Kapadia

Paesi di produzione: Regno Unito

Anno: 2024

 

Immagine 1Non si può non riconoscere che il regista inglese di origine indiana Asif Kapadia abbia le idee chiare e che, per esporle, eviti di ricorrere a inutili cortine fumogene o inconcludenti giri di parole. Come riassumere, infatti, il punto di vista espresso nel docufilm 2073 – Ultima chiamata? Nero, il futuro: politicamente, socialmente e ambientalmente. Bianchi, i principali responsabili: Sam Altman, Jeff Bezos, Sergey Brin, Elon Musk, Larry Page, Peter Thiel, Mark Zuckerberg. Multimiliardarie, le aziende coinvolte: Amazon, Apple, Google, Huawei, Meta, OpenAI, Palantir. Ipertecnologici, gli strumenti adottati: Intelligenza Artificia le, Basi Dati in Cloud, Droni di Controllo, Reti Mobili Geolocalizzate, Videocamere di Sorveglianza. E, soprattutto, privi di scrupoli alcuni fra i politici più in vista: Rodrigo Duterte, Nigel Farage, Xi Jinping, Marine Le Pen, Javier Milei, Giorgia Meloni, Narendra Modi, Benjamin Netanyahu, Viktor Orbán, Vladimir Putin, Donald Trump, Geert Wilders e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Questi i punti cardinali scelti da Kapadia per descrivere cosa ci attende nei prossimi decenni e – soprattutto – a cosa siamo di fronte oggi, proprio nel momento in cui stiamo scrivendo.

Non è chiaro come il mondo sia finito nelle disastrose condizioni dell’anno 2073 che dà il titolo al film. Causa primaria del pessimo stato di conservazione del pianeta e dell’umanità intera è un non ben precisato “Evento” – forse una guerra nucleare ma non è certo – che ha portato distruzione e povertà in tutto il globo. Le persone sono costrette a vivere fra le rovine o sottoterra e quando emergono a un’offuscata e malata luce del sole sono oggetto di controllo e riconoscimento facciale automatico basato su quegli algoritmi di Intelligenza Artificiale di cui tanto di parla, nel nostro 2025, grazie alla loro rapidissima e onnipervasiva diffusione.

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E proprio dai primi anni del terzo millennio che la narrazione prende avvio, sottolineando (affermando perentoriamente, in realtà) come gli indizi – prima – e le evidenze – poi – fossero inequivocabili sin dal primo giorno e si rendessero palesi tramite l’identificazione del diverso, la compressione dei diritti di carattere universale, il ritorno dei nazionalismi, il soffiare sul fuoco dei particolarismi più estremi e l’informazione sempre più manipolata e difficile da verificare. A partire da questo ecosistema tossico e liberticida, così ben conosciuto ma – nonostante ciò – spesso ignorato o sottovalutato, iniziano ad affermarsi idee prevaricatrici e valori divisivi che fanno dell’oggi (e non dell’ancora lontano 2073) non solo un annus horribilis ma un ventennio, ormai trascorso, altrettanto orribile.

Immagine 3Kapadia esprime, di conseguenza, una visione ultra-pessimista e per nulla consolatoria dell’attuale momento storico, analizzato in profondità grazie all’espediente narrativo di parlare di un futuro distopico non troppo vicino a noi, che – grazie ai flashback collocati nei primi vent’anni del nuovo millennio – consente di descrivere la deriva autoritaria di cui è oggetto il mondo odierno, con tutto il suo combinato disposto di disuguaglianze politiche, sociali, economiche e ambientali. Ma la visione dell’autore è – forse – ancor più pessimista, come la seconda parte del titolo in italiano fa intuire. Il film si chiude, infatti, consegnando allo spettatore una domanda profonda e ineludibile, pur senza essere esplicitata del tutto: chi ha la responsabilità della fine del mondo così come lo conosciamo? Solo il comportamento della classe imprenditoriale e degli uomini politici ripetutamente citati o rappresentati? O anche le masse di cittadini (ormai solo consumatori) che hanno accettato che tutto questo avvenisse, evitando ogni azione di reale contrasto al processo in atto, preferendo ottenebrare le proprie menti attraverso i social e uno spesso tanto passivo quanto sterile piagnisteo? Insomma, la questione è: tu dov’eri? E cosa facevi?

 Ai posteri, se ancora esisteranno, l’ardua sentenza.

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