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KINDS OF KINDESS | À bout de Lanthimos

Regia: Yorgos Lanthimos

Anno: 2024

Produzione: Stati Uniti d’America, Regno Unito, Irlanda

una recensione a cura di Elena Pacca

Some of them want to use you

Some of them want to get used by you

Some of them want to abuse you

Some of them want to be abused

Sweet dreams are made of this

Who am I to disagree?

[Eurythmics]

Se ci attenessimo all’accezione denigratoria del termine “manierismo” come “ripetitiva imitazione di moduli formali”, avremmo una definizione che poco si discosta dalla realtà dell’ ultima opera di Yorgos Lanthimos.

Riallacciato il filo del sodalizio con il fido Efthymis Filippou, Lanthimos si e ci immerge in altri anfratti del suo disagio andando un po’ a raschiare il fondo del nostro aderire al perturbante, del nostro masochistico sentire sulla pelle i graffi, gli urti e le torsioni provocati dal suo cilicio filmico con cui ci siamo scorticati per bene, prima dei cambi di registro de La favorita e di Povere creature.

Per chi lo approcciasse per la prima volta può certo trovarsi affine nel concorso di colpa che è in grado di suscitare stravolgendo il senso del comune sentire, sfrattandoci a suon di ingiunzioni ed evacuazioni forzate dal quieto vivere della nostra comfort zone, soggiogati da una mostruosità pur sempre spettacolare.

Per chi, invece, è già avvezzo al suo cinema, può sembrare l’ennesimo ingresso nel tunnel degli orrori del nostro luna park preferito: ci piace, ci divertiamo anche, ma all’ennesimo fantasma/pirata/zombie che sbuca all’improvviso da una quinta buia tra scricchiolii, gemiti e urla lancinanti, sorridiamo con un ok ok, badando a scostare con la mano quelle briciole di pulviscolo che ci sono cadute sulla spalla, ammiccando bonariamente a quest’ultimo tentativo di spaventarci. Perché chi è uso al cinema di Lanthimos, indossa la cinica tuta protettiva e si aspetta ben altro. Cosa di preciso non si sa, ma, sicuramente, qualcosa in grado di lacerare di nuovo, il derma ispessito del nostro sentire.

In Kinds of Kindness, invece, è come se il surrealismo di Lanthimos avesse oltrepassato il limite fisico degli orologi sciolti di Dalì e si fosse talmente fuso che nemmeno si riesce più a leggere una qualsivoglia ora. (se non quella che s’è fatta prima di poter uscire di sala).

La fretta? La ghiotta opportunità? La disponibilità di un cast stellare? Lo sfruttamento dei tempi morti? Il ritorno all’ovile (delle proprie abiezioni narrative)? Tutto questo o forse niente o forse molto altro. Lanthimos gioca con sé stesso e ci propone tre episodi con gli stessi attori/protagonisti in una rotazione di iscrizioni a ruolo che giocano sull’identità, sul dominio e sulla dipendenza da: devozione, sottomissione, religione, amore, sesso. Mescola le tematiche a lui care come un mazzo di carte da cui estrae i suoi tre arcani maggiori offrendocene una lettura. Più didascalico il primo episodio, pur costellato da alcune gag divertenti, in cui l’abuso di potere genera mostri. Più convincente il secondo dove un rapporto tossico di amore viscerale deve fare i conti con il più classico dei cliché di coppia “amore, non ti riconosco più, sei cambiato/a” e dove il pegno d’amore si rivela letale, come nella paradigmatica canzone di Fabrizio De André, “La ballata dell’amore cieco”. Più stereotipato il terzo dove il ruolo delle sette religiose viene enfatizzato nella sua assurdità. Credenze, alienazioni, resurrezioni, costruzione di un presunto eden in terra con le sue regole, i suoi dogmi e i suoi riti, atti a garantire agli adepti, nonché eletti, una vita terrena esclusiva, pura e migliore. Un’ossessione per la violenza sotto le mentite spoglie di una gentilezza pruriginosa, ambigua e ambivalente capace di generare ferite autoinflitte, mortificazione, sudditanza. Un fantomatico personaggio connotato solo da una cifra R.M.F. appare in tutti e tre gli episodi. Inutile dire che si può giocare all’infinito a immaginare cosa significhi quell’acronimo. Semplicemente e banalmente le iniziali di un nome proprio? Rainer Murder Fassbinder? Oppure Royal Marine Force? O perché no Rospi Muschiati Fantastici? Ovviamente niente di tutto ciò e probabilmente niente di niente. Un mero divertissement autoriale per vedere di nascosto l’effetto che fa. Noi, come al solito, andiamo tutti insieme allo zoo comunale per vedere le bestie feroci che Lanthimos ci propina. Un po’ più smaliziati, forse, tiriamo noccioline, accarezziamo il pelo e scattiamo foto di rito, ripromettendoci di tornare, allorquando verrà annunciato un nuovo fantasmagorico spettacolo di questo onirico crudele ambizioso cantore greco.

Gli disse amor se mi vuoi bene

Tralalalalla tralallalero

Gli disse amor se mi vuoi bene

Tagliati dei polsi le quattro vene.

Le vene ai polsi lui si tagliò

Tralalalalla tralallalero

E come il sangue ne sgorgò

Correndo come un pazzo da lei tornò

Morir contento e innamorato

Quando a lei niente era restato

Non il suo amore non il suo bene

Ma solo il sangue secco delle sue vene

[Fabrizio De André]

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