_UN PROGETTO DI BABELICA APS

FOLLEMENTE | Confusi e felici

Regia: Paolo Genovese
Produzione: Italia
Anno: 2025

Porta un chilo di gelato e poi nel dubbio porta un fiore
(E almeno un kiss, please)
E se oggi ho le pupille più grandi del cuore, non mi giudicare
Male, male, male

[Coma_Cose]

 

Senza voler scomodare troppo Calvino (Italo, per inciso) potremmo parlare di un volo a planare sulle dinamiche di una lei e un lui al primo fatidico appuntamento, che si svolge a casa di lei. Casa nido rifugio alcova, dove far entrare un perfetto sconosciuto. E poi ancora antro di meraviglie e attese che si preannuncia con un gioco di luci prodromo di quelle intermittenze del cuore/testa che di lì a poco entreranno rumorosamente e dinamicamente in campo, per disputare una partita con rivolgimenti di fronte, azioni, attacco e difesa, parate e salvataggi in corner come quella stracittadina (derby, per inciso) che si sta giocando contemporaneamente su altri terreni.

Spesso le commedie sembrano compiacersi della messa in scena dell’ imbruttimento umano, sociale e culturale. Senza edulcorare la pillola – nonostante la componente “pucciosa” Puccini/Lastrico – lo spaccato, al netto di alcune “strade facili” soprattutto iniziali su cosa indossare (preservativi versus abiti), è veritiero e definisce con stile e credibilità quel magma di sensazioni ansie aspettative desideri incertezze imprevedibilità emozioni che muove la persona fatta di carne ossa pensiero. (E afflusso sanguigno adeguato alla bisogna).

Perfetti sconosciuti, il gioiellino del 2016 insinuava più di un dubbio andando a sfruculiare in quella trama di segreti ed omissis che è la vita privata di ciascuno. Una ragnatela concentrica che catturava grazie al dispositivo di sponda peer to peer meno vincolante nelle contrapposizioni, che imponeva un’ inesorabile messa a nudo cui si aggiungeva il tarlo del come sarebbe se fosse e se fosse stato.

Qui la quadratura è quella di un cerchio già quadrato dove ogni contendente – lui, Leo/lei, Fogliati – ha, come nei quattro cantoni, le quattro declinazioni che promuovono il pensiero e poi la parola a turno alternato. Un quadrivio cardinale che detta le direzioni e le condizioni. Muti solo nella resa del silenzio dove le parole giuste (ma anche quelle sbagliate o improvvide) faticano ad uscire dai cassettini cerebrali, in un gioco al rilancio che avrebbe goduto di maggior ritmo e tenuta senza il meccanismo un po’ troppo schematico del corrispettivo simmetrico del client/server. Se voce dobbiamo dare all’ inconscio maschile e femminile sarebbe stato auspicabile far interloquire istanze diverse, quand’anche squilibrate e agenti/reagenti su piani diversi e sfalsati di interpolazione. La via più semplice semplifica e semplicizza un match i cui round su questo ring sentimentalsessualamoroso vanno ai punti. E non sempre i verdetti rispettano i valori in campo. Un Papaleo la cui svogliatezza è un po’ troppo esibita e una Giannetta che stenta nonostante il trucco deciso ad affermare una sua compiutezza, si puntellano sulla solida e sfaccettata interpretazione di Pandolfi e Puccini da un lato e da Giallini e Santamaria dall’altro. Fanelli capoclasse al limite del burino e Lastrico impalpabile nella sua remissiva vaghezza. Però, al netto di una linearità che non offre grossi sussulti, Genovese, complici i bravi Leo e Fogliati cui è richiesto di non ostentare ma al contrario di stentare, tentennare, essere titubanti, cattura e mette a fuoco la prossemica: si stagliano i giochi di sguardi, le pause, i silenzi l’imbarazzo al coltello, i lapsus e le risatine che non possono non toccare le corde di un riverbero in cui ciascuno (o quasi) di noi si è riconosciuto. Nel dire scemenze inappropriate, confessare inutili particolari, sottolineare risposte capaci di raggiungere vette altissime del ridicolo, esporsi al giudizio inquisitorio, millantando cose e soppesando dettagli che nel giro di un attimo passano dall’essere insormontabili a facilmente digeribili in una risposta ormonale che può lanciarsi nel qui e ora o spegnersi come la fiamma di una candela al vento. E se qualcuno avesse ancora il dubbio su una certa qual situazione si osservi la scena dove chi ha voluto la bici deve pedalare e chi si concentra gode, asse portante del piacere in un crescendo dove l’importante è non perdere l’equilibrio e dunque non cadere.

Caduta che evita anche Genovese, pur rimanendo nella sua comfort zone, l’ambiente chiuso, la durata filmica pressoché identica a quella rappresentata, un pool di affiatati attori, che coraggiosamente affronta con naturalezza – pagando dazio a un pizzico di intellettualismo con la citazione reiterata di Carla Lonzi – quelle che sono le regole dell’attrazione, che, pur con le variabili del caso, seguono un protocollo quantomeno iniziale che può essere condiviso. Cosa sarà dopo non è dato sapere, oltre all’eccesso di carboidrati, un discutibile gusto tropical, l’avversione per uno stile natatorio oggettivamente ostentato, faticoso e fisicamente controintuitivo, un aggancio pallonaro che con tutta probabilità riconquisterà lo spazio perduto e un posto in cui è custodito qualcosa, sicuramente al fresco, ma che non è il freezer dove, al limite, ci sta una vaschetta di gelato che sarebbe stato un peccato non assaggiare. Godibile.

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